Con la sentenza n. 8332/2020 (testo in calce) la Corte di cassazione si è pronunciata sul ricorso proposto avverso una sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 609 bis c.p. e art. 609 ter c.p., comma 1, n. 1, ascritto all’imputato per avere, con violenza, costretto una minore di quattordici anni a subire atti sessuali.

Sommario

  • Il fatto
  • La valenza probatoria degli screenshot
  • La sentenza

Il fatto

Il ricorrente, attraverso il difensore, aveva lamentato vizi di motivazione della sentenza di merito, in particolare: sull’eccezione di inutilizzabilità degli sceen shot dei messaggi telefonici pervenuti sul cellulare della madre della persona offesa; sulla qualificazione della condotta come violenta; sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestatogli, stante il convincimento di essersi procurato il consenso della minore, regalandole una ricarica telefonica del valore di 70 Euro; infine, sulla esclusione della diminuente della minore gravità del fatto non essendo stata considerata la pronta reazione della minore, che aveva chiesto di essere riaccompagnata a casa.

La valenza probatoria degli screenshot

Come noto, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, da ultimo ribadita da Cass. Pen. 1822/2020, i dati informatici acquisiti ex post dalla memoria del telefono (sms, messaggi whatsApp, messaggi di posta elettronica scaricati e/o conservati nella memoria dell’apparecchio cellulare) “hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p.” in quanto costituiscono mera documentazione dei flussi di comunicazione: ad essi pertanto non è applicabile né la disciplina dettata dall’art. 254 c.p.p., poiché la nozione di corrispondenza implica un’attività di spedizione in corso comunque
avviata dal mittente mediante consegna a terzi per il recapito, né la disciplina delle intercettazioni, la quale postula, per sua natura, la captazione di un flusso di comunicazioni in corso. L’ulteriore conseguenza della natura documentale è che detti testi devono ritenersi legittimamente acquisiti ed utilizzabili ai fini della decisione ove ottenuti mediante riproduzione fotografica.

In tema si è anche affermato che la possibilità di acquisire un documento e di porlo a fondamento della decisione prescinde dal fatto che provenga da un pubblico ufficiale o sia stato autenticato, e che qualunque documento legittimamente acquisito è soggetto alla libera valutazione da parte del giudice ed ha valore probatorio, pur se privo di certificazione ufficiale di conformità e pur se l’imputato ne abbia disconosciuto il contenuto (cfr. Cass. Pen. n. 52017/2014 Rv. 261627).

La sentenza

La sentenza si rivela di interesse sotto diversi profili.

In primo luogo, certamente, per le argomentazioni con le quali la Corte ha respinto la censura relativa all’inutilizzabilità degli screen shot dei messaggi del telefono cellulare della madre della persona offesa. A riguardo, la Corte ha tacciato il ricorso per aspecificità del relativo motivo, non avendo il ricorrente illustrato l’incidenza dell’eventuale eliminazione dell’elemento a carico sulla prova di resistenza nel complesso della struttura giustificativa della sentenza impugnata; ne ha anche dichiarato l’infondatezza, considerando legittima l’acquisizione degli screen shot dei messaggi sull’assunto secondo cui trattasi di una fotografia che si caratterizza solamente per il suo oggetto, costituito, appunto, da uno schermo sul quale siano leggibili messaggi di testo.

Per quanto riguarda i due motivi vertenti sugli elementi costitutivi del reato, la Corte ha ricordato che in tema di violenza sessuale l’elemento oggettivo può anche essere integrato dal compimento di atti sessuali repentini, come nel caso sottoposto al suo esame, in cui, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, l’imputato (amico della famiglia della persona offesa da lunga data e che mai in precedenza aveva manifestato interesse sessuale nei confronti della minore) aveva, in rapida successione, baciato sul collo la ragazza, palpeggiato il suo sedere, tentato di baciarla con la lingua cogliendo di sorpresa la vittima.

La Corte ha considerato immune da censure la sentenza impugnata anche nella parte in cui questa aveva escluso la sussistenza di qualsiasi elemento che potesse indurre nell’agente il convincimento della esistenza di un consenso della minore, stante il fastidio immediatamente manifestato dalla ragazza per gli approcci di un uomo notevolmente più grande, e l’inverosimiglianza della esistenza di una disponibilità della minore in conseguenza del regalo da parte del ricorrente di una ricarica telefonica del valore di 70 Euro.

Ha invece annullato la sentenza con riferimento all’ultimo motivo (relativo alla mancata concessione della diminuente del fatto di minore gravità) evidenziando come la diminuente in questione possa essere riconosciuta solo all’esito di una valutazione globale del fatto, che tenga conto del grado di coartazione esercitato sulla vittima, delle sue condizioni fisiche e mentali, dell’entità della compressione della libertà sessuale e del danno arrecato, anche in termini psichici, al soggetto passivo.

Nell’impugnata sentenza invece erano state sottolineate ai fini del diniego, da un lato, la giovane età della vittima, dall’altro il contenuto sessuale degli atti e la loro reiterazione, Ciò in modo del tutto illogico secondo la Corte, essendo l’una, presupposto della circostanza aggravante di cui all’art. 609 ter c.p., comma 1, n. 1, gli altri un elemento costitutivo del reato, posti in essere nel medesimo contesto spazio temporale, in modo progressivo.

Ad avviso della Corte, invece la pronta narrazione dell’episodio dalla vittima alla madre e la sua successiva rivelazione alle sorelle maggiori, a una amica e al padre, potevano essere indice della modesta entità della coartazione della vittima e della non grave compromissione del suo equilibrio psichico.

Di qui l’annullamento della sentenza con rinvio per consentire il riesame della vicenda limitatamente alla indagine in ordine alla configurabilità della circostanza attenuante, “attraverso una considerazione complessiva del fatto, nella quale tenere conto dell’effettivo contenuto della condotta, del grado di coartazione della volontà della vittima, del livello di invasione della sua sfera di libertà sessuale, del pregiudizio che ne è derivato.”

CASSAZIONE PENALE, SENTENZA N. 8332/2020 >> SCARICA IL TESTO PDF