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Pronunciandosi su un caso “montenegrino” in cui si discuteva della legittimità delle decisioni assunte dalle autorità giudiziarie che avevano respinto una richiesta di risarcimento danni avanzata da una donna, guardia carceraria in un penitenziario femminile, che aveva denunciato comportamenti scorretti dei suoi colleghi nei confronti di alcune detenute, la Corte EDU, ha ritenuto, all’unanimità, che vi era stata la violazione dell’art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare). Il caso, come anticipato, riguardava il presunto bullismo nei confronti di una guardia carceraria di sesso femminile a seguito della sua segnalazione di un incidente che aveva coinvolto guardie carcerarie di sesso maschile che erano entrate nel carcere femminile dove la stessa lavorava, denunciando alcuni contatti inappropriati che gli stessi avevano avuto con le detenute, dolendosi dell’inutilità dei suoi tentativi di affrontare questo problema con le autorità. La Corte di Strasburgo ha rilevato, in particolare, che le modalità di applicazione degli strumenti normativi disponibili, nel caso della ricorrente erano state inadeguate, ciò costituendo una violazione dell’obbligo dello Stato di proteggere i diritti della ricorrente (Corte europea diritti dell’uomo, Sez. V, 9 novembre 2021, n. 31549/18).