Pronunciandosi su un caso “italiano” in cui si discuteva della legittimità delle decisioni delle autorità giudiziarie italiane per aver condannato una nostra connazionale alla restituzione di somme di denaro, dalla stessa percepite, a titolo di differenze salariali, in eccesso corrispostele per errore nel passaggio tra amministrazioni, la Corte EDU, ha ritenuto, all’unanimità (sentenza 11 febbraio 2021 n. 4893/13), che vi fosse stata la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione EDU (protezione della proprietà). La vicenda, come anticipato, era stata originata dalla denuncia di una donna che si era lamentata per la presunta violazione del diritto di proprietà. In particolare, la stessa si era doluta delle conseguenze dell’azione promossa dall’INPS ai suoi danni (azione di ripetizione dell’indebito ex art. 2033, cod. civ.) imponendole di rimborsare alle autorità amministrative una parte delle somme che le erano state corrisposte a titolo di assegno ad personam per essere transitata dall’amministrazione scolastica all’INPS in base a mobilità. Basandosi in particolare sull’art. 1 del Protocollo n. 1 (protezione della proprietà) della CEDU, la ricorrente aveva sostenuto che l’obbligo di rimborsare la somma di 13.288,39 euro all’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale aveva violato i suoi diritti ai sensi di tale articolo. La Corte di Strasburgo ha ritenuto violato l’articolo 1 del Protocollo n. 1 ed ha stilato una sorta di “decalogo” dei casi in cui una pubblica amministrazione può procedere o meno alla ripetizione di somme corrisposte a titolo di retribuzione dei lavoratori. In sintonia con quanto stabilisce la Corte del Lussemburgo, da Strasburgo si conferma che tale regola non opera rispetto ai datori di lavoro privati.