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Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva assolto per insussistenza del fatto da una serie di violazioni in materia di prevenzione infortuni sul lavoro l’amministratore delegato di una società, ritenendolo non qualificabile come datore di lavoro per aver delegato gli adempimenti prevenzionistici ad un dirigente aziendale, la Corte di Cassazione penale, Sez. III, con la sentenza 17 marzo 2022, n. 9028 – nell’accogliere la tesi del Procuratore Generale che aveva proposto ricorso per cassazione contro la sentenza di proscioglimento, secondo cui la posizione giuridica del delegato non era assimilabile a quella del datore di lavoro come fissata dall’art. 2, lett. b) del D.Lgs. n. 81 del 2008 – ha affermato l’importante principio secondo cui la previsione normativa che prefigura la possibilità di avere nell’ambito di una medesima impresa una pluralità di datori di lavoro non permette di proiettare gli effetti del singolo ruolo datoriale sull’intera organizzazione, con la conseguenza che una volta individuato il rischio come non specifico delle attività svolte nella singole unità produttive, tanto che la sua gestione presuppone poteri non disponibili a quei datori di lavoro, è del tutto conseguente che la valutazione di tale rischio è oggetto di un obbligo che fa capo al datore di lavoro ‘apicale’.