Una legge che riserva il lavoro portuale a lavoratori “riconosciuti” (cioè che fanno parte del contingente di lavoratori previsto dalla normativa nazionale) può essere compatibile con il diritto dell’Unione se è volta ad assicurare la sicurezza nelle zone portuali e la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Lo ha chiarito la Corte di Giustizia secondo la quale è, dunque, legittima una normativa nazionale come quella belga che obbliga persone o imprese che intendano esercitare attività portuali in una zona portuale, comprese attività estranee al carico e allo scarico di navi in senso stretto, a ricorrere esclusivamente a lavoratori portuali riconosciuti come tali conformemente alle condizioni e alle modalità fissate in applicazione di tale normativa: la condizione è però che alla base vi siano criteri oggettivi, non discriminatori, predeterminati e che consentano ai lavoratori portuali di altri Stati membri di dimostrare di soddisfare, nel loro Stato di origine, requisiti equivalenti a quelli applicati ai lavoratori portuali nazionali. Inoltre, non deve essere stabilito un contingente limitato di lavoratori che possono essere oggetto di un simile riconoscimento. Nel complesso, la sentenza dell’11 febbraio 2021 (cause riunite C-407/19 e C-471/19) fornisce importanti chiarimenti in tema di accesso alla professione e assunzione dei lavoratori portuali (c.d. scaricatori di porto o stivatori), delle modalità di riconoscimento, della durata del contratto di lavoro e della mobilità tra diverse zone portuali nonché in materia di sicurezza nelle zone portuali.